Recensione: Cattiva di Myriam Gurba


TRAMA

Poliziesco, memoir, e storia di fantasmi, "Cattiva" è il racconto autobiografico di una studentessa universitaria nell'America degli anni Novanta vittima di un maniaco sessuale seriale. L'uomo ha già aggredito molte altre donne, stuprando e uccidendo una di loro, la messicana Sophia Torres. Ossessionata dallo spettro di Sophia, Myriam Gurba ripercorre in queste pagine sconvolgenti la sua storia: l'infanzia allegra e scanzonata scissa tra cultura messicana e americana, il rapporto magico con la nonna-totem Abuelita, quello trasgressivo con le compagne di college a Berkeley, l'approccio ai grandi della letteratura e della filosofia (Conrad, Woolf e Marx), la suggestione della Giovanna d'Arco di Dreyer femminista e santa, l'avvicinamento che è quasi identificazione ad Ana Mendieta e Hannah Wilke, grandi protagoniste dell'arte contemporanea. Con uno stile originalissimo, a tratti scarno a tratti sontuoso, usando una lingua poetica e pungente, l'autrice ci parla di un mondo fatto di sfumature sottili, di parole inventate, un mondo in cui il corpo è una scoperta e la scoperta è nel piacere. Anche quello che gli altri decidono di prendersi senza permesso. Fino a quando, un estraneo le tende una trappola, la tocca, abusa di lei e tutto diventa nuovo. Tutto rinasce, assume un colore diverso, il colore dello stupro e il mondo cambia: "È una falena o uno stupratore? c'è uno stupratore nascosto in quel mazzo di girasoli appena recisi?".

RECENSIONE

Questo romanzo non è per tutti. Non è una lettura facile, non per il modo in cui è scritto, ma per le riflessioni e le emozioni che ti fa mettere in gioco. È forte, è diretto, non ha filtri. Non ho mai letto un libro così ma allo stesso tempo non posso che consigliarne la lettura perché è una denuncia su molti problemi che affliggono la nostra società: la violenza sulle donne e il razzismo.

Raccontata in prima persona dalla stessa Myriam, la sua vita e le sue vicissitudini ti colpiscono nel profondo. Nata in una famiglia mista nell’America anni 90, madre messicana e padre per metà polacco, fin da bambina ha dovuto subire umiliazioni di ogni genere per via del colore della sua pelle.

“Non sapevo che i Messicani fossero Messicani, una categoria che per alcuni comprende degli esseri subumani. Pensavo di essere una persona e comprendevo le persone.”

È stato agghiacciante leggere come un dottore, di fronte all’evidente anoressia della sorella di Myriam, disse che non poteva trattarsi di anoressia perché la ragazza era messicana. Essere donna e per di più messicana, in una società così maschilista e retrograda, sarà un vero e proprio calvario per Myriam. Molestata prima da un compagno di classe sotto il silenzio- assenso del professore, sarà poi vittima di uno stupratore seriale. 

“Nessuno immagina mai che gli stupratori siano appostati sotto il sole, il cielo, gli alberi. In altre parole, gli umani sono quello che sembrano. L’apparenza è reale.”

In modo deciso Myriam ci fa riflettere sul fatto che gli stupratori non sono esseri soprannaturali ma sono persone come noi: potrebbe essere il nostro vicino o l’uomo che incontri in fila al supermercato. Lo stupro esiste, è reale e purtroppo, ancora ad oggi, è qualcosa di quotidiano che spesso, ahimè, viene giustificato. 


La scrittura di Myriam Gurba non ha fronzoli, è forte e spesso sarcastica. Proprio però per questo suo modo di narrare le vicende, quasi in modo distaccato, mi è stato difficile entrare in contatto con lei durante la prima parte del romanzo. Nonostante questo, ne consiglio la lettura unica ed emozionante, e non solo alle donne.

VALUTAZIONE


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